I nanosensori sono sensori, naturali o artificiali, in grado di portare informazioni dal mondo nanometrico al mondo macroscopico. Questa capacità è data dal fatto che hanno dimensioni e tempi caratteristici della scala nanometrica e subcellulare. Attualmente, i nanosensori sono utilizzati soprattutto per scopi medici ( nanomedicina)[1], ma sono in fase di sviluppo anche per essere alla base di computer/robot che lavorino su scala nanometrica.
In generale, i nanosensori sono possono essere prodotti con due metodologie differenti: litografia top-down e l’autoassemblaggio bottom-up.[2].
La litografia top-down (collegamento litografia) è il metodo con il quale si fabbricano la maggior parte dei circuiti integrati sfruttati in elettronica. Il metodo consiste nel partire da un materiale bulk (solitamente inorganico) e scavarlo in punti specifici tramite tecniche opto-chimiche, fino ad ottenere le forme desiderate.
I più comuni nanosensori presenti in natura sono i recettori naturali per stimoli esterni. Per esempio la capacità olfattiva sfrutta dei recettori che percepiscono molecole di dimensioni nanometriche. Alcune piante, invece, utilizzano dei nanosensori per percepire la luce del sole. Vari pesci utilizzano dei nanosensori per percepire le vibrazioni nell'acqua, mentre molti insetti li utilizzano per percepire i ferormoni.[3] [4].
I nanosensori sono utilizzati in campo medico soprattutto per la loro capacità di identificare e monitorare accuratamente particolari tessuti o singole cellule del corpo umano, studiandone le loro proprietà elettriche e ottiche. Ciò è possibile grazie al fatto che i nanosensori sono in grado di misurare eventuali fluttuazioni delle proprietà standard delle cellule, come ad esempio: modifiche di volume e concentrazione, spostamento, velocità, forze gravitazionali, elettriche e magnetiche, pressione e temperatura. I nanosensori, inoltre, sono in grado di distinguere e riconoscere i diversi tipi di cellule, comprese quelle tumorali[2] , il che li rende di grande interesse anche in campo oncologico. Inoltre, i nanosensori sono in grado di comunicare in tempo reale queste fluttuazioni, motivo per cui sono interessanti per la somministrazione di farmaci attraverso dispositivi in vivo. Un particolare tipo di nanosensore è, ad esempio, il LOC[5], ossia “Lab-On-A-Chip”, il quale sfrutta i principi della microfluidodinamica per studiare i segnali emessi dalle singole cellule o eventuali fluttuazioni di loro proprietà. Per esempio, sono state create delle lenti a contatto che contengono un nanosensore che monitora la pressione intraoculare e che, grazie ad un collegamento Wi-Fi, avverte un computer nel caso in cui questa salga troppo.
Un esempio di utilizzo dei nanosensori riguarda le proprietà di imaging. Infatti, è possibile sfruttare particolari nanoparticelle, dette quantum dots, le quali, in determinate condizioni scelte dall’operatore, sono in grado di emettere fluorescenza e, pertanto, potrebbero permettere rilevare un tumore oppure particolari tratti di DNA.
Sono stati creati nanosensori in vivo in grado di monitorare in tempo reale i livelli di glicemia nel fluido ematico . Ciò permetterebbe, inoltre, di trasmettere le informazioni acquisite dal nanosensore ad un dispositivo in vivo in grado di immettere immediatamente insulina nell’organismo[6][4].
In medicina classica i metodi per monitorare e visualizzare parti interne del corpo sono molto dolorosi e richiedono l’utilizzo, almeno blando, di sedativi. Si pensi, per esempio, all’invasività di una colonscopia, di una gastroscopia o di un’endoscopia. Per tale motivo si stanno studiando dei nanosensori che diano le stesse possibilità di visualizzazione, ma che siano semplicemente ingoiabili sotto forma di capsula o iniettabili direttamente nel sangue. Questi nanosensori, una volta terminato il loro scopo, possono essere espulsi naturalmente dal corpo oppure si possono ancorare loro stessi in modo permanente ai tessuti nel caso in cui si volesse riattivarli più in là nel tempo.[7]
È possibile applicare dei LOC anche ai neuroni, in modo da riuscire a seguire i segnali elettrici mentre percorrono gli assoni e i nervi. Ciò può essere particolarmente utile, ad esempio, per capire dove si interrompe il segnale elettrico nel caso di danni neurologici gravi.
Sono in studio sensori fluorescenti con sensibilità specifica per Fe, Cr, Hg...[3][8]
Ovviamente le stesse tecnologie si possono utilizzare per la scoperta di sostanze od inquinanti nell'ambiente[9]
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