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Il termine anime (アニメ? /anime/ ascolta[?·info]), dall'abbreviazione di animēshon (traslitterazione giapponese della parola inglese animation, "animazione"), è un neologismo con cui in Giappone, a partire dalla fine degli anni settanta del XX secolo,[1][2] si indicano l'animazione e i film d'animazione (giapponesi e non), fino ad allora chiamati dōga eiga (動画 映画,? film animato) o manga eiga (漫画 映画,? film di fumetti), mentre in Occidente viene comunemente utilizzato per indicare le opere di animazione di produzione giapponese,[3] comprese quelle precedenti l'esordio del lemma stesso.[4]
Secondo un'accezione generica in Occidente si tende a definire anime come sinonimo di "cartone animato giapponese", sennonché una simile definizione non fornisce l'esatta idea della complessità e della varietà che caratterizzano questo medium.[5][6] Nonostante un ormai sorpassato luogo comune occidentale che riduce l'animazione giapponese a un prodotto rivolto ad un pubblico infantile o, al contrario, a carattere pornografico, confondendo in entrambi i casi una parte per il tutto, in realtà l'anime è allo stesso tempo un prodotto di intrattenimento commerciale, un fenomeno culturale popolare di massa e una forma d'arte tecnologica.[7] Esso è potenzialmente indirizzato a diverse tipologie di pubblico, dai bambini, agli adolescenti, agli adulti, fino ad arrivare ad una specializzazione del target sostanzialmente mutuata da quella esistente per i manga (fumetti giapponesi), con anime concepiti per categorie socio-demografiche specifiche quali impiegati, casalinghe, studenti e altro. Essi possono, pertanto, trattare soggetti, argomenti e generi molto diversi tra loro come amore, avventura, fantascienza, storie per bambini, letteratura, sport, fantasy, erotismo e molto altro ancora.[8][9][10]
Gli anime possono essere prodotti in diversi format: per la televisione come serie televisive, direttamente per il mercato home video come original anime video (OAV), per il cinema come lungometraggi, mediometraggi o cortometraggi e, più di recente, per internet e la web TV come original net anime (ONA).[11] In Giappone i format descritti vengono normalmente indicati rispettivamente come TV Anime (TVA), Original Video Anime (OVA), Movie e NET Anime (NETA).
Nel 1932 vide quindi la luce la prima produzione con il sonoro parlato, Chikara to onna no yononaka (力と女の世の中?) di Kenzō Masaoka, che però non reggeva ancora il confronto con le coeve produzioni americane.[13] Proprio negli anni trenta, tuttavia, la politica espansionistica e nazionalista del Governo giapponese prese ad imporre uno stretto controllo sull'industria cinematografica e, conseguentemente, anche la produzione di animazione, caratterizzata da una cronica carenza di fondi, venne incoraggiata e finanziata soprattutto come strumento di propaganda e valorizzazione della cultura nipponica. E così il primo lungometraggio animato giapponese, Momotarō umi no shinpei (桃太郎 海の神兵?) di Mitsuyo Seo, venne prodotto nel 1945 con fondi della Marina imperiale[14][15] per raccontare la storia patriottica di Momotaro, che con il suo esercito di animali antropomorfi pone sotto assedio e conquista una base navale nemica in Nuova Guinea. Complessivamente, tra il 1917 e il 1945 furono realizzati almeno 400 filmati d'animazione, dei quali, tra terremoti, bombardamenti e censura governativa, è rimasto ben poco.[16]
Tuttavia, l'industria dell'anime moderna deve senza dubbio la sua nascita e la sua fortuna a due fattori determinanti: da un lato l'esistenza risalente in Giappone di un mercato dei fumetti (manga) estremamente fiorente e dinamico, dall'altro l'avvento della televisione negli anni sessanta.[18] Il 1º gennaio 1963, giorno della messa in onda del primo episodio della serie televisiva in bianco e nero Tetsuwan Atom (Astro Boy) di Osamu Tezuka, può, pertanto, essere senz'altro considerata la data di nascita dell'industria moderna dell'animazione giapponese:[19] prodotta dalla Mushi Production, fondata dallo stesso Tezuka, e tratta dal suo omonimo manga, la serie riscuoterà un grande successo anche all'estero, e conterà alla fine ben 193 episodi, l'ultimo dei quali trasmesso in Giappone alla fine del 1966.[20] Primo anime televisivo seriale con puntate di trenta minuti, Tetsuwan Atom è, assieme al coevo Tetsujin 28-Go (Super Robot 28) tratto dal manga di Mitsuteru Yokoyama, anche il primo anime robotico, capostipite di un filone certamente tra i più rappresentativi dell'animazione giapponese,[21] che conoscerà il suo apice negli anni settanta con le saghe dei super robot di Go Nagai[22] e il realismo inaugurato da Yoshiyuki Tomino.[23] Ulteriore e definitivo impulso alla neonata industria dell'animazione del Sol Levante venne poi ancora da Osamu Tezuka, che nel 1965 realizzò sempre con la Mushi anche la prima serie televisiva animata a colori di successo, Jungle taitei (Kimba il leone bianco), basata su un altro suo manga;[24] da questa, due anni dopo, lo stesso autore trasse il lungometraggio omonimo, molto più rifinito, che arrivò in Italia "camuffato" da produzione americana con il titolo Leo il re della giungla, e con il quale Tezuka vinse il Leone d'oro alla XIX Mostra del cinema per ragazzi di Venezia.[21]
A cavallo tra gli anni ottanta e novanta, tuttavia, se la produzione home video si consolida, l'animazione seriale televisiva conosce, invece, una vera e propria fase di stanca, anche per la prepotente crescita del mercato dei videogiochi da casa. Ci vorranno quindi alcuni anni perché i creativi dell'animazione nipponica trovino un'efficace risposta alla crisi di idee, dai più individuata nella serie Shin Seiki Evangelion (Neon Genesis Evangelion) di Hideaki Anno, che nel 1995 ha imposto con successo i canoni della cosiddetta "nuova animazione seriale" giapponese.[29] In quest'opera è, infatti, possibile riscontrare paradigmaticamente tutte quelle innovazioni che hanno consentito la rinascita tecnica e artistica dell'anime televisivo, ossia una maggiore autorialità, la concentrazione delle risorse in un minor numero di episodi (13 o al massimo 26), un'impostazione registica ancora più vicina alla cinematografia dal vero, un drastico ridimensionamento del rapporto di dipendenza dai soggetti dei manga e una maggiore libertà dai vincoli del merchandising.[30] È nell'ambito di questo rilancio che quindi emergono nuovi talenti e figure di riferimento quali, oltre al già citato Hideaki Anno, Satoshi Kon e Shinichirō Watanabe.
L'industria degli anime, il cui mercato annuale vale intorno ai 200 miliardi di yen (oltre 1 miliardo e mezzo di euro), conta circa 430 case di produzione in Giappone, di cui più della metà (264) ha sede nei quartieri centrali di Tokyo, con un indotto rilevantissimo. Il costo di produzione di un episodio di 30 minuti per la TV si aggira mediamente attorno ai dieci milioni di yen (circa 80.000 euro) ma può scendere fino a cinque.[31] Proprio al fine di contenere i costi, infatti, sempre più spesso i grandi studi giapponesi appaltano alcune fasi della produzione ad aziende estere, soprattutto in Cina, Corea del Sud e Filippine, quando non aprano direttamente filiali in quei paesi, come fatto ad esempio dalla Toei Animation.
La Japan External Trade Organization nel 2004 JETRO White Paper on International Trade and Foreign Direct Investment indica l'industria dei contenuti, e l'animazione in particolare, quale rilevante fenomeno produttivo e come una «importante risorsa culturale e turistica»[32] cruciale per la promozione dell'immagine del Giappone nel mondo (soft power) in vista della auspicata creazione, sotto la sua guida, di un'area di libero scambio in Estremo Oriente.
Nei primi dieci anni del XXI secolo la produzione di animazione commerciale in Giappone è cresciuta enormemente, contando quasi la metà delle oltre 6000 opere prodotte dal 1958 nei vari formati.[33]
Come accade per qualsiasi medium ovunque nel mondo, anche gli anime veicolano inevitabilmente la cultura dei loro autori e, nello specifico, quella giapponese, pur se nel quadro di una ormai tendenziale contaminazione delle fonti.[34] Vari e numerosi sono infatti negli anime i riferimenti e i richiami ad elementi fondamentali del costume e della società nipponici, elementi che spesso offrono contributi determinanti del contenuto e dell'estetica, e che possono individuarsi, in via di estrema approssimazione, nelle tradizioni shintoista e buddhista, nel bushidō (武士道?), in particolari relazioni o regole sociali, quali, ad esempio, il rapporto senpai-kōhai (先輩-後輩?) e il giri (義理?), ma anche nel controverso dibattito sociale sul rapporto tra uomo, natura e tecnologia. Non mancano, tuttavia, frequenti riferimenti espliciti e impliciti anche alla cultura occidentale, come nel caso dei numerosi anime concepiti nell'ambito del Sekai Meisaku Gekijō (World Masterpiece Theater), una "etichetta" data a serie indipendenti l'una dall'altra, ma con in comune l'essere tratte in particolar modo da romanzi americani ed europei per ragazzi.[35]
Lo shintoismo è la religione autoctona del Giappone, caratterizzata da una visione animistica della natura. Lo shin-tō (神道?) è la via degli dei, la condotta che si armonizza con gli spiriti della natura e degli antenati, i kami (神?), generalmente positivi, cui si contrappongono gli oni (鬼?), demoni violenti. Innumerevoli sono quindi i miti e le leggende tratti dalla tradizione shintoista, a cominciare da quelli raccolti nel Kojiki e nel Nihongi (testi risalenti all'VIII secolo d.C.), che forniscono agli anime ben più di uno spunto per le storie che narrano.[36][37] In particolare, un tratto caratteristico dello shintoismo è proprio quello di combinare elementi fantastici e appartenenti a realtà situate oltre la normale soglia della percezione umana con l'ordinaria vita quotidiana, caratteristica che è facile riscontrare anche in moltissime opere animate giapponesi.[38]
Ma a giocare spesso un ruolo nella trama è anche il buddhismo, in particolare lo zen (禅?). A prescindere dalla frequente presenza nelle storie di un monaco, sia in chiave caricaturale che seria, la tradizione zen, per il suo approccio pragmatico e diretto alla realtà, poco incline alla costruzione di sistemi concettuali che pretendano di spiegarla, ben si presta per storie in cui i personaggi svolgono ruoli d'azione, significando gli anime pur sempre intrattenimento e spettacolarità.[39]Altro fattore che porta negli anime tradizioni, aneddoti e situazioni è senz'altro l'etica marziale riconducibile fondamentalmente a quel complesso codice di comportamento costituito dal bushi-dō, la via del nobile guerriero.[40][41] Le storie degli anime tendono in particolare ad unire gli aspetti del bujutsu (武術, 'la tecnica e l'abilità marziale'?) e del budō (武道, 'la via marziale che conduce alla pace'?) per fornire il giusto grado di spettacolarizzazione dei combattimenti, ma anche per rappresentare il percorso morale e formativo del protagonista.[42] Tuttavia, considerato che il bushidō è connotato dalla presenza di qualità morali guida, quali la giustizia, il senso del dovere, la lealtà, la compassione, l'onore, l'onestà e il coraggio, è bene tener presente che esso fa da sfondo culturale non solo agli anime che in qualche modo siano incentrati sul combattimento, sul conflitto oppure direttamente ambientati nel Giappone feudale, ma anche a molte storie di vita ordinaria, vissute tra i banchi di scuola come tra le mura domestiche.[43][44] È infatti lo shugyō (修行?), il severo tirocinio praticato dal bushi (o budōka) per arrivare al dominio di sé e all'autodisciplina, a caratterizzare il percorso e l'evoluzione dei protagonisti degli anime, spesso impegnati in imprese che mettono a dura prova le loro risorse interiori e che richiedono loro di superare le proprie paure e debolezze.[45] Talvolta, poi, il fine ultimo di tale percorso, passando per il controllo del ki (氣 oppure 气?), l'energia interiore, è addirittura l'acquisizione di una consapevolezza della vacuità della realtà che porti a rinunciare alle pretese dell'ego e ad apprezzare la caducità dell'esistenza materiale, così che nemmeno la morte sia più motivo di timore.[46][47] Tuttavia, prodromica a questa rinuncia è anche la ricerca e la definizione da parte dell'eroe della propria identità, in contrapposizione alla pretesa omologante della società.[48]
Lo stesso argomento in dettaglio: Senpai e kōhai. |
Il cammino del budōka, però, di regola non può avere inizio senza una guida, sia essa rappresentata da un genitore o da un maestro (先生, sensei?) poco importa, che indichi la via con il proprio comportamento.[49] Questo rapporto, nella società giapponese, è normalmente rappresentato dalla coppia senpai-kōhai, dove il primo è "colui che ha iniziato prima", e il secondo "colui che ha iniziato dopo". Tale relazione, che implica rispetto e devozione del kōhai verso il senpai, ma anche che questi sia effettivamente in grado di consigliarlo e indirizzarlo nella vita, può individuarsi pressoché in ogni contesto sociale, dalla scuola al lavoro, dallo sport alla politica, e inevitabilmente si riflette anche negli anime, dove spesso costituisce il rapporto principale tra i personaggi.[50]
Per la mentalità giapponese, dunque, la vera forza consiste nel non curarsi della propria personale felicità allo scopo di perseguire un ideale e adempiere un dovere.[51] Il giri è appunto il dovere di saldare un debito, che può essere nei confronti del proprio sovrano, dei genitori, degli antenati e finanche nei confronti del proprio nome, ma che nelle storie di molti anime arriva ad essere nei confronti del mondo intero, rispetto al quale il protagonista, superando spesso i propri sentimenti personali e a dispetto dell'isolamento che la sua inevitabile diversità comporta, assume la responsabilità di salvatore fino all'estremo sacrificio di sé (我慢, gaman?).[52][53] Ciò, tuttavia, in un'ottica assolutamente laica, in quanto la moralità è un concetto proprio dell'uomo, laddove l'universo è considerato dai giapponesi amorale e indifferente.[54] Gli esempi negli anime di una tale impostazione culturale sono innumerevoli, e i più facili da individuare si trovano certamente in quel ricchissimo filone robotico (mecha) fiorito negli anni settanta e ottanta e che, seppur con sfumature diverse, si è perpetuato fino a oggi. Ma non solo, perché anche serie come Saint Seiya (I Cavalieri dello zodiaco) tratta dal manga di Masami Kurumada, per dirne un'altra tra le tante, ne costituiscono un chiaro derivato.[55]
Quanto detto a proposito della tradizione shintoista è utile per illustrare anche come la complessa discussione sul rapporto tra natura e tecnologia da lungo tempo in atto nella società giapponese (ma anche nel mondo tutto) si rifletta negli anime. Se da un lato, infatti, la tecnologia viene talvolta rappresentata come positiva per l'uomo, laddove gli garantisce maggiore benessere e sviluppo, per non dire di quando lo salva da terribili minacce, d'altro canto essa, in altre opere, si trasforma nella peggiore sciagura, in quanto causa di devastazione ambientale o, addirittura, fautrice della distruzione totale. Rispetto a questa ambivalenza esiste poi una posizione di sintesi, rinvenibile in quelle opere in cui questa duplice valenza positiva e negativa si manifesta contestualmente, con un risultato drammatico spesso paradossale: il danno causato dalla tecnologia solo per mezzo di essa può essere riparato.[56] Anche qui gli esempi più immediati si incontrano nel genere mecha, specie per quanto riguarda la tecnologia nella sua valenza salvifica (si pensi alle opere di Go Nagai), mentre la sua stigmatizzazione, per le caratteristiche disarmoniche rispetto alla natura che le sono proprie, si ritrova sovente nell'opera di autori come Hayao Miyazaki e Tatsuo Yoshida.[57] Sotto altro profilo, il rapporto uomo-tecnologia, in particolare, costituisce anche il versante privilegiato attraverso il quale gli anime recepiscono e rielaborano la modernità, risultando in definitiva un connubio inscindibile di antico e di nuovo.[58]
Il processo di produzione di un anime,[59] ora come in passato, è preceduto da una fase di pianificazione (計画 段階, keikaku dankai?), che può essere di due tipi: l'uno consiste nella scelta di un manga o di un romanzo da cui trarre la sceneggiatura e comporta una serie di negoziazioni tra autori, editori e produttori (原作 アニメ, gensaku anime?), l'altro vede un soggetto originale concepito dal regista (監督, kantoku?),[60] o da un altro autore (原作者, gensakusha?), appositamente per la trasposizione in video (原 アン, gen an?). Poiché, peraltro, difficilmente uno studio di medie dimensioni si imbarca in una produzione contando solo sui propri mezzi finanziari, spesso vengono coinvolti sponsor esterni, i quali rischiano i propri capitali più facilmente su soggetti già collaudati, come nel caso dei gensaku, piuttosto che al buio, come in un gen an.[61]
Scelto il soggetto, si procede quindi alla stesura della sceneggiatura (脚本, kyakuhon?), in base alla quale il regista, affiancato dal direttore di produzione (演出, enshutsu?), comincia a fornire le prime direttive al character designer (キャラクターデザイナー?), al direttore artistico (美術 監督, bijutsu kantoku?) e, ove necessario, al mecha designer (メカデザイナー?) per un primo abbozzo delle ambientazioni e dei personaggi. Con il materiale grezzo così elaborato si passa alla realizzazione dell'ekonte (絵コンテ?),[62] una sorta di storyboard dell'anime che funge da traccia base per tutto lo staff, fornendo già dettagli quali il numero di frame per scena, gli effetti visivi e gli sfondi necessari, le inquadrature, i movimenti di camera, la dinamica e la composizione delle scene (per la realizzazione di 26 minuti di ekonte sono necessarie normalmente circa tre settimane di lavoro). Una volta definiti, sotto il coordinamento del regista, l'ekonte, il character design, il mecha design e gli sfondi, vengono poi realizzati i disegni preliminari che vanno a formare l'animatic, ossia una versione filmata dell'ekonte necessaria per verificare sia i tempi e il ritmo delle scene, sia – con l'aggiunta dei dialoghi e delle musiche in versione grezza – la coerenza di suoni e immagini.[61][63]
Superato il vaglio del regista, dall'animatic si passa alla fase di realizzazione dell'animazione vera e propria gestita dal direttore dell'animazione (作画 監督, sakuga kantoku?, contratto in sakkan), che comprende i cosiddetti keyframe, ossia le immagini che illustrano i momenti chiave dell'azione realizzate dagli animatori (原画, genga?), e gli in-between, ossia quelle di passaggio da un keyframe all'altro realizzate dagli intercalatori (動画, dōga?). Nell'animazione tradizionale ossia quando i disegni venivano colorati a mano, tutti i disegni, all'infuori degli sfondi, vengono trasposti su fogli di plastica trasparente (rodovetro o cel), dove vengono colorati, e poi sovrapposti in più strati sugli sfondi per comporre i frame da fotografare: ad ogni scatto/frame corrisponde la sostituzione di uno o più cel contenenti la variazione necessaria per rendere il movimento. Questo procedimento è ripetuto per ogni scena. Nel caso dell'animazione la cui fase di colorazione viene assistita dal computer (anche detta "animazione 2D"), invece, tutti i disegni (keyframe e in-between) vengono digitalizzati tramite scanner, colorati e ombreggiati al computer tramite appositi programmi,[64] vengono poi sovrapposti agli sfondi, anch'essi digitalizzati, e animati impiegando software appositi con i quali i vari frame vengono composti e memorizzati in sequenza, anziché fotografati uno per uno come si faceva una volta con la colorazione a mano per poi essere fissati direttamente su pellicola, con un consistente e notevole risparmio di tempo, abbassamento dei costi e miglioramento della qualità del prodotto. A partire dai primi anni duemila, circa il 95% degli anime prodotti ogni anno si avvale di processi di animazione digitalizzati, anche se la maggior parte dei disegni è tuttora realizzata a mano, con un impiego ancora marginale (seppure in crescita) delle tecniche di generazione digitale di immagini 3D e di animazione al computer.[65]
Una volta completata l'animazione, ha luogo la sonorizzazione, consistente nell'aggiunta delle voci e della colonna sonora costituita dagli effetti sonori, dalla musica di sottofondo (BGM) e dalle canzoni.[66] Per quanto riguarda la scelta delle voci, è fondamentalmente il regista a selezionare gli attori nell'ambito di una vera e propria categoria di professionisti specializzati nel prestare la voce ai personaggi degli anime, che spesso interpretano anche le canzoni e le sigle, oggi sempre più assimilate al J-pop. Il direttore degli effetti (効果 監督, kōka kantoku?) si occupa, invece, della creazione degli effetti sonori, ormai realizzati quasi esclusivamente con generatori di suoni elettronici, quali sintetizzatori e campionatori, mentre il direttore del suono (音響監督, onkyō kantoku?) sovrintende alle registrazioni e alla qualità dell'audio. La parte artisticamente più rilevante della sonorizzazione, però, è indubbiamente rappresentata dalla musica, cruciale per la riuscita complessiva dell'opera.[67] È per questo che in Giappone viene posta un'estrema cura nella composizione ed esecuzione delle musiche per anime, che alimentano un prospero mercato discografico e che vantano una tradizione di compositori eccellenti, quali in passato maestri come Shunsuke Kikuchi, Chūmei Watanabe e Takeo Watanabe, ovvero artisti contemporanei come Kenji Kawai, Yoko Kanno e Joe Hisaishi, solo per citarne alcuni. Non è raro, peraltro, che a cimentarsi nella composizione di colonne sonore per anime siano anche musicisti già affermati al di fuori di questo settore, come nel caso di Ryūichi Sakamoto e Susumu Hirasawa.
Circa la genesi e la peculiarità del linguaggio e dello stile degli anime – ammesso che oggi sia ancora possibile parlarne in termini generali data la loro varietà – può dirsi senz'altro che si sia fatta di necessità virtù. La principale caratteristica di questo medium, ossia quella che taluni chiamano animazione limitata,[68] trova infatti la propria ragion d'essere nell'iniziale necessità delle produzioni di sopperire alla cronica scarsità di risorse economiche. Dai quindici disegni al secondo, tipici della media delle produzioni cinematografiche della Disney, i creatori delle prime serie televisive animate giapponesi si videro costretti a scendere fino a cinque, risparmiando soprattutto nelle pose intermedie, con la conseguenza di un'animazione sicuramente meno fluida. È proprio per ovviare a questo inconveniente, quindi, che si stabilì immediatamente uno stile narrativo assolutamente originale, fondato da un lato sul massimo sfruttamento delle tecniche di ripresa (in aperta violazione della regola d'oro di Norman McLaren secondo cui «in animazione non si deve mai muovere il disegno, ma disegnare il movimento»), e dall'altro sulla forza del soggetto.[69] La "rivoluzione" degli anime può pertanto riassumersi in tre capisaldi: enfatizzazione del movimento attraverso le tecniche di ripresa, storie avvincenti ed efficaci, elevata produttività degli staff,[70] rispetto ai quali la fluidità disneyana smette quindi di essere una necessità narrativa, lasciando spazio ad un linguaggio suggestivo e stimolante, in cui spesso è l'immaginazione dello spettatore a dover completare le ellissi rappresentative.[71][72] Volendo fare un parallelo, è un po' quanto già accadeva in passato per il lettore di haiku (俳句?).[4]
Una delle innovazioni cruciali introdotte dagli anime è dunque quella delle tecniche di ripresa utilizzate per compensare l'animazione limitata, molto simili a quelle impiegate nella regia cinematografica. Tra i movimenti di camera e gli effetti più usati si possono distinguere: il fix, ossia il fermo immagine; lo sliding, lo scorrimento del disegno attraverso l'inquadratura; lo zoom, in cui la cinepresa si avvicina o si allontana; il fairing, una tecnica basata sul posizionamento e la distanza relativa dei disegni per accelerare o rallentare il movimento di un elemento; il pan, quando la cinepresa effettua una panoramica orizzontale del frame; il tilt, quando la panoramica è verticale; il follow, simile al pan, con la cinepresa che segue l'azione, o un singolo elemento della stessa da ferma (follow pan) oppure ancora lo stesso elemento ma fianco a fianco (tracking); il fading, ossia la dissolvenza al nero o incrociata (spesso su un fotogramma fisso molto curato); il wipe, in cui l'immagine successiva spinge quella precedente fuori dall'inquadratura; lo split screen, in cui l'inquadratura viene suddivisa in più parti, ciascuna con una visuale diversa della stessa scena; il backlighting, in cui al frame viene aggiunto un cel nero tranne che per la parte che si vuole illuminare.[73][74][75]
Diverse delle tecniche di ripresa sopra illustrate (fix, fading, pan) risultano peraltro funzionali a quella che viene definita la dilatazione temporale degli anime.[76] Prendendo le mosse dal fatto che per la mentalità e la spiritualità giapponesi non ha molto senso parlare del tempo in termini cronometrici, di misura oggettiva, dato che esso non ha inizio né fine, si può affermare che ciò che conta è invece la qualità dell'istante, l'intensità con cui lo si vive.[77][78] Per questo negli anime ci si ritrova spesso dinnanzi a momenti "eterni", in cui il tempo della narrazione coincide con quello dell'emozione, così che quanto più questa è intensa tanto più l'attimo si estende, fino a porsi fuori dal tempo, in un fermo immagine, in una panoramica, in una dissolvenza.[79] Un rallentamento enfatico che può portare un combattimento, una partita o un incontro di pochi istanti a durare per più di un episodio, con uno scopo che certamente non è più quello di economizzare, quanto quello di aumentare la tensione e la partecipazione emotive, come nella migliore tradizione cinematografica, dall'espressionismo tedesco ad Ejzenštejn, fino al cinema di genere americano ed europeo, noir innanzitutto.[76]
Sempre in tema di linguaggio, non va trascurata la particolare simbologia grafica degli anime, in gran parte mutuata da quella dei manga. Frequente è infatti il ricorso alle linee cinetiche (dōsen) per esaltare i movimenti, l'uso espressivo dei fondali per sottolineare lo stato d'animo dei personaggi, la resa iperbolica dei gesti per aumentare il pathos; ma anche tutta una serie di espedienti grafici tipici dei fumetti, spesso utilizzati in chiave comica, quali la goccia di sudore per significare imbarazzo o tensione, la bolla dal naso per indicare il sonno profondo, oppure l'improvvisa rappresentazione in stile super deformed del personaggio.[80][81] Forse, però, il segno più caratteristico negli anime è dato dal modo di rappresentare gli occhi, spesso molto grandi o comunque preponderanti rispetto al resto del viso, la cui ragion d'essere, al di là di inconsistenti speculazioni, va ravvisata senz'altro nella maggiore resa espressiva.[82][83][84]
autore[85] | classe | attività |
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Anno, Hideaki | 1960 | Autore di anime come Fushigi no umi no Nadia (Nadia - Il mistero della pietra azzurra) e, soprattutto, Shin seiki Evangelion (Neon Genesis Evangelion). È stato uno dei fondatori dello studio Gainax, dove ha prodotto le sue opere e ha collaborato in altre; a partire dalla fine degli anni novanta si dedica anche alla regia cinematografica di film live action con titoli come Love & Pop e Cutie Honey. |
Dezaki, Osamu | 1943 - 2011 | Fra i più importanti registi nell'ambito del genere drammatico, ha lasciato una produzione enorme durata 40 anni e caratterizzata dall'uso espressionistico di inquadrature, luci e colori. Fra i primi animatori della Mushi Production di Tezuka e collaboratore abituale di Shingo Araki, è noto soprattutto per le tre serie Rocky Joe, Remì le sue avventure e Lady Oscar. È morto di malattia nel 2011 all'età di 67 anni. |
Ikuhara, Kunihiko | 1964 | Personaggio emblematico e di culto, ha iniziato come semplice animatore nello studio Toei Animation, per poi fare carriera nello stesso e infine uscirne e arrivare a dirigere importanti anime come Bishōjo senshi Sailor Moon (Sailor Moon) (seconda, terza e quarta serie) e Shōjo kakumei Utena (La rivoluzione di Utena). Membro fondatore del gruppo di artisti Be-Papas. |
Kawamori, Shōji | 1960 | Coautore della space opera Chōjikū yōsai Makurosu (Macross) e di quasi tutti i relativi sequel, ha inoltre ideato altri anime di successo, come Tenku no Escaflowne (I cieli di Escaflowne) e Sōsei no Aquarion (Aquarion). È anche un apprezzato mecha designer: oltre all'intero mecha design di Macross, ha curato, fra gli altri, quello di Kōkaku kidōtai (Ghost in the Shell) e Kōkyōshihen Eureka Sebun (Eureka Seven). |
Kawajiri, Yoshiaki | 1950 | Autore e regista, tra i fondatori dello studio Madhouse, ha portato al successo l'animazione per adulti con capolavori quali Jubei ninpuchō (Ninja Scroll), Yoju toshi (La città delle bestie incantatrici) e Vampire Hunter D - Bloodlust. Tra le altre opere, nel 2001 dirige la serie TV di X, tratta dal celebre manga del quartetto CLAMP, e nel 2003 partecipa alla produzione nippoamericana Animatrix con gli episodi Program e World record. |
Kon, Satoshi | 1963 - 2010 | Autore contemporaneo molto apprezzato in patria come all'estero per le sue opere (fumetti, serie TV e film) di pregnante contenuto psicologico e sociologico. Sono suoi i lungometraggi, ormai noti in tutto il mondo, Perfect Blue, Sennen joyū (Millennium Actress), Tokyo Godfathers e Paprika - Sognando un sogno, e la serie televisiva Mōsō dairinin (Paranoia Agent). È prematuramente scomparso nel 2010, a soli 46 anni. |
Osoda, Mamoru | 1967 | Regista e animatore giapponese, ha lavorato inizialmente presso gli studi della Toei Animation, per un breve periodo presso lo Studio Ghibli, e infine presso lo Studio Chizu, da lui fondato. Ha diretto tra gli altri: La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars, Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo, The Boy and the Beast. |
Matsumoto, Leiji | 1938 | Prolifico mangaka e autore, ha creato l'universo di Uchū kaizoku Captain Hārokku (Capitan Harlock), nel quale sono state ambientate molte altre serie, e la saga della Uchū senkan Yamato (La corazzata Yamato). È anche l'autore dell'esperimento Interstella 5555, un lungo videoclip animato su musica dei Daft Punk. |
Miyazaki, Hayao | 1941 | Celebrato autore, animatore, regista e produttore di anime, tra cui successi internazionali come il lungometraggio Mononoke-hime (Princess Mononoke), già noto in Italia soprattutto per la prima serie di Rupan sansei (Le avventure di Lupin III) e la serie Mirai shōnen Conan (Conan il ragazzo del futuro). Tra i fondatori dello Studio Ghibli, ha ricevuto l'Oscar e l'Orso d'Oro nel 2002 per il film Sen to Chihiro no kamikakushi (La città incantata), oltre al Leone d'oro alla carriera alla 61ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2005. Viene spesso soprannominato "il dio degli anime". |
Nagai, Gō | 1945 | La sua importanza nell'animazione giapponese può essere paragonata a quella di Jack Kirby nel fumetto americano. Nagai è stato il precursore di molti generi, tra cui quello robotico con serie come Majingā Z (Mazinga Z) e UFO Robo Grendizer (UFO Robot Goldrake), e il suo stile è stato largamente imitato dai produttori per anni. Si ritiene sia stato anche l'autore del primo hentai manga. |
Oshii, Mamoru | 1951 | Autore e regista di lungometraggi complessi e maturi come Kōkaku kidōtai (Ghost in the Shell), Inosensu (Ghost in the Shell: L'attacco dei Cyborg), Tenshi no tamago e dell'importante saga di Kidō keisatsu Patoreibā (Patlabor) insieme al gruppo Headgear, ma anche di opere più leggere, quali gran parte della serie TV di Urusei yatsura (Lamù), e i relativi film Only You e Beautiful Dreamer. |
Ōtomo, Katsuhiro | 1954 | Autore e regista del kolossal Akira, tratto dal suo omonimo manga, e del più recente Steamboy (presente come film di chiusura alla 61ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia), malgrado abbia realizzato in fondo non molte opere, ha esercitato ed esercita una enorme influenza stilistica e tematica nel mondo dell'animazione giapponese. |
Rintarō | 1941 | Cofondatore dello studio Madhouse, è diventato famoso e rispettato grazie alla regia della prima serie di Capitan Harlock e dei film della serie Ginga tetsudo 999 (Galaxy Express 999), entrambi tratti dai manga di Leiji Matsumoto e considerati veri e propri cult. Famose sono le sue collaborazioni con altri autori, in particolare quelle con Osamu Tezuka (è stato supervisore di diversi anime del maestro) e quelle con Katsuhiro Ōtomo (con cui ha realizzato Metropolis). |
Takahata, Isao | 1935 | Raffinato autore e regista, ha condiviso gran parte della sua carriera con Hayao Miyazaki, insieme al quale ha fondato lo Studio Ghibli. Tra i suoi maggiori successi serie televisive come Alps no shōjo Heidi (Heidi) e Akage no Anne (Anna dai capelli rossi), ma anche lungometraggi di grande rilievo come Hotaru no haka (Una tomba per le lucciole), Omohide poro poro e Heisei tanuki kassen ponpoko (Pom Poko). |
Tezuka, Osamu | 1928 - 1989 | Considerato unanimemente il primo mangaka in senso moderno (e definito perciò "il dio dei manga"), autore di fumetti di altissimo prestigio internazionale, è stato anche il primo autore di anime televisivi. Tra le sue opere, oltre ai già citati Astro Boy e Kimba, il leone bianco, Adorufu ni tsugu (La storia dei tre Adolf) e Black Jack. È morto nel 1989. |
Tomino, Yoshiyuki | 1941 | Tra i fondatori della Sunrise, autore e regista tra l'altro delle serie Muteki kōjin Daitarn 3 (Daitarn 3) e soprattutto Kidō senshi Gundam (Mobile Suit Gundam), che introdusse l'innovativo concetto del cosiddetto "real robot" nel genere robotico. Questa serie ha dato origine ad una fortunatissima saga che continua ancora oggi, e la cui influenza nel panorama degli anime è paragonabile a quella delle produzioni nagaiane. |
Watanabe, Shinichirō | 1965 | Soprannominato "il Guru della Sunrise", tra le altre opere ha scritto e diretto uno degli anime più importanti degli anni novanta, Cowboy Bebop, e due cortometraggi di Animatrix, la popolare suite d'animazione voluta dai fratelli Wachowski. |
Yoshida, Tatsuo | 1932 - 1977 | Fondatore dello storico studio di animazione Tatsunoko, è stato creatore e produttore di importanti anime televisivi a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, come Mach Go! Go! Go! (Superauto Mach 5), Kagaku ninja tai Gatchaman (La battaglia dei pianeti) e Shinzo ningen Casshan (Kyashan il ragazzo androide). Morì nel 1977 a soli 45 anni. |
nome | fondazione | dipendenti |
---|---|---|
A-1 Pictures | 2005 | 152 (2014) |
Bee Train | 1997 | 70 (2007) |
BONES | 1998 | |
Eiken | 1952 | 50 |
Gainax | 1981 | 20 |
Gonzo | 1992 | 85 (2009) |
J.C.Staff | 1986 | 145 (2015) |
Kyoto Animation | 1981 | 129 (2010) |
Madhouse | 1972 | 70 |
Manglobe | 2002 | |
MAPPA | 2011 | |
Nippon Animation | 1975 | 100 |
Pierrot | 1979 | |
Production I.G | 1987 | 120 (2015) |
Satelight | 1995 | 110 (2013) |
Shaft | 1975 | 188 (2015) |
Studio 4°C | 1986 | |
Studio DEEN | 1975 | |
Studio Ghibli | 1985 | 300 |
Studio Nue | 1972 | |
Sunrise | 1972 | 188 (2015) |
Tatsunoko | 1962 | |
TMS Entertainment | 1995 | 193 (2015) |
Toei Animation | 1956 | 325 (2014) |
ufotable | 2000 | 150 (2013) |
Gli anime, come detto, vengono catalogati in numerosi generi e sottogeneri, così come avviene per i manga, a seconda delle tematiche trattate e del pubblico cui sono destinati.[86] In base al criterio demografico (o "esterno"), in particolare, si distinguono, a prescindere dall'argomento trattato dal soggetto, le seguenti tipologie di massima:
Evidentemente, poi, ciascun genere demografico privilegia determinati soggetti rispetto ad altri, per cui un anime che ad esempio tratti di fantascienza sarà più probabilmente uno shōnen che uno shōjo, e così via.[87]
È quindi possibile individuare diverse categorie anche in base al soggetto, tuttavia questo tipo di distinzione può rivelarsi fuorviante, laddove spesso un anime può trattare al contempo tematiche differenti. Ancora, una categorizzazione per soggetto che sia esaustiva e univoca non è riscontrabile nella letteratura in materia, e comunque essa trova accreditamento spesso e volentieri più presso il pubblico che da parte degli autori. Ad ogni modo, volendo procedere per completezza ad un'indicazione di massima delle varie categorie di anime individuate secondo un criterio tematico (o "interno"), nell'ambito dei generi demografici sopra detti si può distinguere tra i seguenti sottogeneri:[88]
I primi anime ad arrivare in Italia sono stati alcuni lungometraggi distribuiti nei cinema tra il 1959 e il 1975, tra i quali, oltre ai già citati La leggenda del serpente bianco, Saiyuki e Jungle taitei, Andersen monogatari del 1968, tradotto in Le fiabe di Andersen, Taiyo no Ōji – Horusu no daiboken dello stesso anno, distribuito con il titolo La grande avventura del piccolo principe Valiant, e Nagagutsu o haita neko del 1969, edito con il titolo Il gatto con gli stivali. Si trattava di lungometraggi proiettati nell'ambito di matinée domenicali o distribuiti spacciandoli per prodotti americani. Tuttavia la vera svolta nella diffusione degli anime in Italia si è avuta nella seconda metà degli anni settanta, con l'importazione di serie televisive da parte, inizialmente, della televisione di Stato. Il 13 gennaio 1976 la Rete 2 (oggi Rai 2) diede infatti il via alla messa in onda di Barbapapà (Bābapapa), il primo anime giapponese trasmesso in Italia, seguito nel gennaio 1977 da Vicky il vichingo (Chiisana Viking Vikke), e nel 1978 da Heidi (Alps no shōjo Heidi) e Atlas UFO Robot (UFO Robot Grendizer).[89][90]
L'Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad importare anime e soprattutto tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta furono oltre un centinaio le serie acquistate (probabilmente come in nessun altro paese occidentale),[91] sia ad opera della RAI-TV, sia delle emittenti private liberalizzate nel 1976[92] (in maggior misura le reti che poi sarebbero diventate Fininvest, ma anche altre realtà prettamente locali),[93] per quella che è stata definita una pacifica "invasione".[94]
A partire però dalla metà degli anni ottanta, soprattutto a causa di una crescente campagna di demonizzazione degli anime operata da buona parte dell'opinione pubblica,[95][96][97] la RAI iniziò ad importare sempre meno serie, e per oltre un decennio restò praticamente solo il gruppo Fininvest a proporre qualche novità. Per lo più si trattava di serie indirizzate ad un pubblico di età appena scolare, o di serie prevalentemente shōjo, mentre i pochi prodotti shōnen venivano dirottati sui circuiti di reti locali associati al gruppo (Italia 7, Odeon TV). Le reti private locali, invece, si limitarono per anni a trasmettere repliche delle serie acquistate in precedenza, in quanto le sempre più elevate spese per l'acquisizione dei diritti e per il doppiaggio imponevano loro tabelle di marcia rallentate per l'importazione di nuove opere.[98]
Tali circostanze hanno determinato un notevole ritardo per quanto riguarda la distribuzione di nuovi anime in Italia (tanto nel mercato televisivo quanto su DVD o VHS), colmato soltanto in parte nel corso della seconda metà degli anni novanta grazie alla crescita del genere nel mercato home video, da taluni definita il «Second Impact» dell'animazione giapponese in Italia.[99] A partire dal 1999, tuttavia, reti nazionali come MTV Italia, e in misura minore La7, hanno iniziato a trasmettere regolarmente animazione giapponese proprio grazie ad accordi stretti con i maggiori editori italiani di home video del settore, quali soprattutto Dynit, Panini Video e Shin Vision, all'epoca ancora attiva. Specialmente la scelta editoriale di MTV ha contribuito in maniera considerevole al citato Second Impact dell'animazione nipponica, favorendo l'ulteriore espansione del mercato e l'importazione di serie studiate in particolar modo per il suo pubblico di riferimento, vale a dire la fascia di età degli over 14. Le sinergie messe in campo con gli editori di home video hanno, inoltre, consentito apprezzabili risparmi sull'acquisto dei diritti e una qualità media degli adattamenti molto elevata.[100] Gli accordi tra MTV e le case editrici hanno anche favorito particolari trasmissioni a scopo promozionale, quali, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 2000, la "maratona" Robothon, comprendente vari primi episodi di anime robotici (da cui il nome), e le due Anime Week durante l'ultima settimana di settembre del 2005 e del 2006, in cui la trasmissione di anime in via promozionale costituiva buona parte della programmazione giornaliera della rete. In tutti questi casi, oltre ad episodi regolarmente doppiati, ne sono stati trasmessi alcuni solo sottotitolati, principalmente in seconda serata. Qualcosa di simile ha fatto anche Italia 1, la rete del gruppo Mediaset che trasmette normalmente animazione giapponese, con le sue cosiddette Notti Manga, programmi promozionali andati in onda in fascia notturna tra il 1999 e il 2001, in cui sono stati trasmessi, in aggiunta all'ordinaria programmazione pomeridiana, alcuni anime editi dalla Yamato Video. Dal 2009 anche la RAI è tornata a trasmettere animazione giapponese sul canale digitale terrestre Rai 4, che in quell'anno ha mandato in onda in versione integrale serie come Gurren Lagann e Code Geass: Lelouch of the Rebellion.[101] La stessa piattaforma digitale ha favorito la creazione di canali tematici dedicati all'animazione giapponese, come Man-ga o Anime Gold.
Negli ultimi anni anche internet è diventata un nuovo canale distributivo globale per gli anime, sia per iniziativa delle stesse case di produzione, che sempre più di frequente pubblicano le opere inizialmente come ONA per Web TV, sia ad opera di privati che le diffondono però in modo illecito. Nell'ultimo caso si possono distinguere due tipologie: l'immissione in rete di copie di prodotti già pubblicati in Italia, oppure di copie di prodotti inediti nel mercato italiano sottotitolati da gruppi amatoriali, cosiddetti fansub. In quest'ultimo caso i gruppi in genere si impegnano a sospendere la distribuzione quando i diritti per quel determinato titolo vengono acquistati in patria e a non trarre lucro dall'attività, che rimane comunque illecita per la violazione del diritto d'autore.[102]
Lo stesso argomento in dettaglio: Adattamento e censura degli anime. |
In Italia, a partire dalla metà degli anni ottanta, l'animazione giapponese ha subito nei passaggi televisivi sulle reti nazionali (RAI e soprattutto Fininvest/Mediaset) una censura sistematica operata attraverso adattamenti invasivi e incongrui, traduzioni superficiali dei copioni originali, giunti talvolta incompleti, tagli e modifiche arbitrarie.[103][104] A causa di un equivoco culturale di fondo, che in Italia e in Occidente vuole l'animazione rivolta sempre e solo ai bambini, molti anime destinati originariamente ad adulti o adolescenti sono stati infatti adattati forzatamente per una fascia di età infantile.[105][106][107][108] Il cambiamento di target ha così comportato una revisione, se non talvolta la riscrittura dei dialoghi, per edulcorarli e renderli fruibili da un pubblico molto più giovane e il taglio di sequenze o, più raramente, di intere puntate, ritenute non adatte ad una platea infantile. Anche per questo l'associazione Moige (Movimento italiano genitori), come pure giornalisti e psicologi, hanno spesso criticato gli anime, colpevoli di presentare contenuti ritenuti inadatti ai bambini. I cultori dell'animazione nipponica si sono a loro volta organizzati in associazioni quali l'ADAM Italia, con l'obiettivo di tutelare l'integrità delle opere e restituirle al pubblico per cui erano state pensate originariamente.[109] In Giappone, come detto, l'animazione è infatti considerata, al pari della cinematografia, una forma d'espressione artistica che può veicolare contenuti d'ogni genere e tipo, destinati a fasce d'età differenziate.[110]
A segnare una svolta hanno contribuito le scelte editoriali di MTV, che ha effettuato le sue trasmissioni di animazione giapponese in fasce orarie appropriate e in versione identica all'edizione proposta per il mercato home video dagli editori italiani; nella maggior parte dei casi, quindi, la trasmissione è del tutto priva di censure (come avvenuto nel caso di Ranma ½), anche se per certi prodotti (ad esempio Golden Boy o gli OAV di Kenshin Samurai vagabondo) è stata scelta la doppia programmazione: censura delle scene ritenute inadatte nella trasmissione in fascia protetta, e versione integrale durante il passaggio in tarda serata.[111][112] In tema va anche segnalata la trasmissione notturna senza censure su Italia 1 della serie TV seinen Berserk nel 2001 e dei film Tokyo Godfathers e Cowboy Bebop nel 2006. Per quel che riguarda la RAI, invece, i primi tentativi di trasmissione integrale sono stati, oltre ad alcune serie del World Masterpiece Theater su Rai 1 e al film Akira su Rai 3, la messa in onda su Rai 2 di vari film e speciali TV della saga di Dragon Ball nel 2000-2001. Con l'avvento della televisione digitale terrestre, poi, si è scelto di includere regolarmente nel palinsesto di Rai 4 la messa in onda di anime in versione integrale, anche con le sigle di apertura e chiusura originali.
L'animazione giapponese ha avuto un significativo impatto sulla cultura dei giovani italiani nati dalla fine degli anni sessanta in avanti, la cui infanzia ne è stata caratterizzata.[113] In particolare, per la prima generazione di spettatori di anime, quella degli anni settanta, i personaggi delle serie giapponesi dell'epoca sono diventati un topos letterario, nonché un elemento di identificazione generazionale, permeando l'immaginario collettivo e la cultura popolare anche a livello di massa (si pensi ad esempio ai numerosi riferimenti all'animazione giapponese contenuti nei brani del cantautore Caparezza,[114] o a gruppi musicali come i Meganoidi[115]). Su internet ciò ha dato luogo a punti di ritrovo virtuale molto partecipati, come il newsgroup it.arti.cartoni, mentre proliferano una miriade di siti web amatoriali dedicati all'animazione giapponese, così come veri e propri quotidiani e riviste periodiche elettronici (webzine), quali AnimeClick e l'ormai inattiva Wangazine.
Anche in ambito scientifico e accademico si moltiplicano testi e saggi, spesso scritti proprio da ricercatori e studiosi di quella generazione, che trattano di anime e manga riscoprendoli e rivalutandoli come fenomeno culturale e sociologico.[116] L'animazione giapponese è, inoltre, sempre più spesso argomento di interesse universitario nell'ambito di diverse discipline, come dimostrato, ad esempio, dalla nascita di riviste accademiche quali Manga Academica, dedicata alle tesi e alle pubblicazioni universitarie sul fumetto e sul cinema d'animazione giapponese.
A tanto ha contribuito anche un fenomeno prettamente italiano, quello delle sigle televisive degli anime:[117] ritenendo gli originali cantati in giapponese inadatti ai bambini italiani, sin dalla fine degli anni settanta essi vennero molto spesso sostituiti da brani appositamente realizzati in lingua italiana, spesso scritti da musicisti come Vince Tempera o I Cavalieri del Re. Successivamente, le sigle dei cartoni animati divennero un fenomeno discografico di rilievo, particolarmente tramite l'attività di Cristina D'Avena e Giorgio Vanni, cui la Fininvest/Mediaset ha affidato quasi tutte le sigle degli anime trasmessi a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, spesso anche sostituendo le vecchie sigle italiane con delle nuove.[118] A partire dalla seconda metà degli anni novanta, si è sviluppato un rilevante fenomeno di revival di questo genere di brani, prima on line, tramite il Progetto Prometeo, e poi anche in televisione e in radio; si sono inoltre affermati gruppi musicali specializzati nel riproporre o parodiare questi brani, come gli Amici di Roland e i Gem Boy.
Gli anime hanno avuto nel tempo una diffusione planetaria. Al di là del Giappone, in Asia l'animazione nipponica è molto popolare anche in paesi come Taiwan, la Corea del Sud e nel sud-est, dove, ad esempio, la serie per bambini Doraemon ha avuto grande successo in Thailandia e nelle Filippine sin dall'inizio degli anni novanta, così come in seguito quella dei Pokémon.[119] Meno diffusi, invece, nelle televisioni del Medio Oriente, anche se serie come UFO Robo Grendizer nell'edizione araba hanno avuto anche lì largo seguito.[120]
Il primo anime trasmesso negli USA fu la serie Astro Boy (Tetsuwan Atom) sulla rete NBC tra il 1963 e il 1964, praticamente in contemporanea con il Giappone.[121][122] Da allora le importazioni sono state costanti, pur se non massicce fino all'inizio degli anni novanta. Negli anni ottanta molte serie classiche furono comunque trasmesse da varie TV, anche se frequentemente rimontate e adattate nei dialoghi e nella trama ai gusti del pubblico nordamericano, come nel caso di Tranzor Z (Mazinger Z), Battle of the Planets (Kagaku ninja tai Gatchaman) e Star Blazers,[123] o in quelli più eclatanti di Force Five, Voltron e Robotech. La prima consiste in una lunga serie risultante dalla fusione di cinque distinti anime (Daiku maryū Gaiking, Wakusei Robo Danguard Ace, Starzinger SF Saiyuki, Getter Robo G e UFO Robo Grendizer), per un totale di 130 episodi (26 di ciascuna serie);[124] la seconda è parimenti una serie ricavata montando insieme due diverse serie originali (Hyakujū ō Golion e Kikō kantai Dairugger XV), così come la terza, che ne fonde tre (Chōjikū yōsai Macross, Kiko soseiki Mospeada e Chōjikū kidan Southern Cross) per un totale di 85 episodi. In seguito, anche sull'onda del successo del film Akira nelle sale cinematografiche americane, nei primi anni novanta cominciò a svilupparsi una maggiore attenzione al fenomeno, sia da parte delle TV che degli operatori del settore home video, tanto che negli ultimi dieci anni il mercato U.S.A. degli anime è cresciuto enormemente.[5] Il grande successo di pubblico ottenuto dalle varie saghe di Gundam e dai Pokémon, il primo posto nella classifica Billboard raggiunto dal film Ghost in the Shell nel 1998, e la sempre maggiore popolarità delle opere dello Studio Ghibli[125] hanno portato il mercato americano degli anime ad essere il secondo mercato nazionale dietro quello nipponico, con 38 serie trasmesse e 500 nuovi DVD usciti nel 2007, e un valore del solo settore home video stimato in 400 milioni di dollari nel 2006, anche se in decisa flessione.[126] È statunitense anche uno dei più importanti portali web occidentali sull'animazione giapponese, l'Anime News Network.
Uguale se non maggiore diffusione televisiva gli anime hanno avuto in Europa: a parte l'Italia, di cui si è detto, anche Spagna e Francia hanno infatti subito, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, una "pacifica invasione". In effetti, in Francia i primi anime furono trasmessi già nel 1974, con le serie Le Prince Saphir (Ribbon no kishi) e Le Roi Leo (Jungle Taitei), ma l'importazione massiccia iniziò solo dopo il successo della serie Goldorák (UFO Robo Grendizer), trasmessa nel 1978.[127] In Spagna al principio degli anni ottanta andarono in onda serie come Mazinger Z, El Vengador (Kotetsu Jeeg), Capitán Harlock, Star Blazers e poi Robotech,[128] anche se fu il successivo arrivo de Los Caballeros del Zodiaco (Saint Seiya) e di Dragon Ball a decretare l'esplosione del fenomeno anche lì.[123][128] In entrambi questi paesi, tuttavia, similmente a quanto accaduto in Italia, gli anime hanno suscitato forti polemiche, subendo spesso anche qui interruzioni e censure.[123] In Germania, invece, dove non vi è stata una serie di particolare successo a fare da traino, la programmazione televisiva degli anime è un fenomeno piuttosto recente. Le prime poche serie trasmesse nell'allora Germania Ovest, da Speed Racer (Mach Go! Go! Go!) nel 1971 a Captain Future (Captain Fuchā) nel 1980, non ebbero grande riscontro, anche perché talvolta accusate di essere troppo violente e inadatte ai bambini; solo con la successiva trasmissione di serie come Lady Oscar (Versailles no bara) e le sportive Kickers (Ganbare! Kickers) e Mila Superstar (Attack No. 1), a metà degli anni novanta, l'animazione giapponese ha trovato maggior spazio nella programmazione delle TV tedesche.[129] Diversa è la situazione nel Regno Unito, dove in passato l'animazione nipponica non ha praticamente mai trovato spazio nei palinsesti televisivi, ma dove al contrario il mercato home video degli anime ha preso piede già dalla fine degli anni ottanta, con il record di vendite delle VHS del film Akira e la nascita della Manga Video, a differenza di Italia e Francia dove ciò è avvenuto solo nella seconda metà degli anni novanta.[123][130] Il recente successo internazionale riscosso dai lungometraggi di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli ha poi aperto le porte all'animazione giapponese anche in paesi come la Finlandia e la Polonia,[123] mentre nell'aprile 2007 in Romania, Ungheria e Repubblica Ceca ha avuto luogo il lancio europeo di Animax, il canale satellitare tematico a pagamento della Sony Pictures Entertainment che trasmette anime 24 ore su 24, diffuso poi anche in Germania.
La penetrazione degli anime in America latina ha riguardato soprattutto paesi come il Messico, il Cile e l'Argentina. In particolare, i primi anime trasmessi in Messico, principale importatore latinoamericano, sono stati sul finire degli anni settanta Heidi, Meteoro (Mach Go! Go! Go!), Mazinger Z, Candy Candy, Kimba (Jungle taitei) e l'Abeja Maya (Mitsubachi Maya no boken),[131] con una presenza costante nel tempo dell'animazione giapponese nei palinsesti delle TV locali. Dal Messico le stesse serie hanno avuto quindi diffusione in Venezuela e in Perù, ma soprattutto in Cile, sulle cui TV gli anime sono arrivati all'inizio degli anni ottanta,[132] e poi in Argentina dove l'animazione nipponica, dopo le isolate apparizioni sui teleschermi di Mazinger Z nel 1981[133] e Robotech nella seconda metà degli anni ottanta,[134] ha avuto maggior diffusione a partire dagli anni novanta. A riprova della popolarità raggiunta dagli anime in America Latina sta anche la diffusione su tutto il territorio del citato canale satellitare tematico della Sony Animax.
La diffusione degli anime in Africa è storia recente. Eccezion fatta per l'edizione araba di UFO Robo Grendizer cui si è fatto cenno, trasmessa con successo anche in Egitto al principio degli anni ottanta,[135] l'animazione giapponese ha trovato spazio e mercato nel continente africano solo a partire dagli anni duemila, in particolare in Sudafrica.[136] Nel 2007, tuttavia, la Sony ha lanciato il suo canale satellitare Animax anche in diversi stati africani, tra i quali, oltre al Sud Africa, Namibia, Kenya, Botswana, Zambia, Mozambico, Lesotho e Zimbabwe.[137]
Dalla fine degli anni novanta in poi, anche l'Australia è diventata un grande importatore di animazione giapponese, come testimoniato dall'intensa attività dell'editore di home video Madman Entertainment, nonché dalla diffusione anche qui del canale tematico della Sony Animax sulla TV mobile.[138]
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